Ormai sono trascorsi più di 30 anni da quella riforma del diritto di famiglia che ha annullato l’odioso aspetto predominante dell’uomo nella vita matrinoniale, recando seco una parificazione di ruoli nel ménage, ponendo il regime patrimoniale della comunione legale dei beni al centro del nuovo sistema: si intendeva così proteggere e valorizzare il lavoro domestico spesso (se non quasi esclusivamente) appannaggio nel bene e nel male della donna, dando in questo modo dignità a quest’ultima, la quale in precedenza non godeva di particolari tutele in caso si separazione personale, al contrario del marito, il quale con il proprio lavoro remunerato riusciva a condurre una vita post-matrimoniale di gran lunga più agiata rispetto all’ex consorte.

   Il tempo che ci separa da quella storica novella legislativa non è tuttavia riuscito in toto a colmare le – pur inevitabili – lacune ed incertezze normative. L’attuale assetto, quindi, altro non è se non l’assestamento della riforma del 1975, alla luce delle successive esegesi giurisprudenziali dei Tribunali.

   Il Codice Civile, con la novella de qua, è stato profondamente rivisitato per quanto concerne il regime patrimoniale della famiglia: il vero e proprio revirement ha consistito nell’abbandonare il vecchio sistema della separazione dei beni, per approdare a quello della comunione legale quale regime – come si direbbe oggi – di default.

  La ratio di tale innovazione giuridica è stata quella di tutelare il coniuge (economicamente) più debole, che negli anni settanta era pressochè al 100% la donna, la quale, come detto sopra, era essenzialmente dedita alle faccende domestiche, le quali non avevano un corrispondente quantum monetario, a differenza dell’uomo col proprio lavoro remunerato.

   Quindi, salvo opzione contraria, il regime previsto dalla legge è quello della comunione dei beni, che non comprende tuttavia tutti i beni che appartengono ai coniugi, bensì solo quelli acquistati dopo il matrimonio. Tale comunione, di più, non è “universale”: ogni coniuge è e rimane esclusivo proprietario sia dei beni acquistati prima del matrimonio, sia di quelli ccdd. “personali” (es. immobili ricevuti in donazione).

   Marito e moglie hanno tuttavia ampio margine di manovra sul regime della comuione: possono cioè optare di adattarlo alle proprie esigenze come meglio credono, ricomprendendo nella communio beni che altrimenti ne sarebbero esclusi: si parla in questo caso della cd. “comunione convenzionale”; essa richiede un accordo ad hoc e deve avere dei limiti interni, quale ad esempio quello dell’eguaglianza delle quote.

   In merito alla amministrazione dei beni, se gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti anche senza il consenso dell’altro, per quelli di straordinaria amministrazione si richiede necessariamente la partecipazione di entrambi.

   Ovviamente, la comunione legale è l’opzione di default, ma non la sola. Si può adottare infatti il differente regime della separazione dei beni: ogni coniuge diviene titolare esclusivo dei beni che abbia acquistato (prima e durante) il consorzio. E’ certamente più diffuso tra i ceti sociali più elevati, ed è più celere rispetto a quello della comunione legale, poichè l’amministrazione ordinaria e straordinaria dei beni dei patrimoni dei coniugi spettano a questi ultimi in modo indipendente. Di conseguenza, in caso di separazione, minori sono i problemi.

   Più “rischioso” in simili frangenti appare certamente il regime della comunione legale, poichè è evidente che in momenti patologici di coppia possano sorgere questioni di non poco momento, quali se faccia parte della comunione stessa qualsiasi bene acquistato dopo il matrimonio ovvero solo alcune categorie. Riguardo – ad esempio – le obbligazioni (oggi strumento d’investimento ordinario), una lenta giurisprudenza partita da posizioni negative ha finito con l’affermare che esse rientrino a buon titolo nella comunione.

   Superata è anche la tesi che vedeva nella comunione legale solo i diritti reali (es. proprietà o usufrutto) e non quelli di credito.

   Profonde – a differenza di quanto possa sembrare a prima vista – sono le differenze tra la comunione ordinaria e quella legale; quets’ultima ha finalità completamente differenti rispetto alla prima. Difatti, mira a massimizzare la tutela dei coniugi all’interno dell’ambito familiare, allorchè la comunione sic et simpliciter tende a proteggere la proprietà individuale. Proprio per le motivazioni testè riportate oggi la giurisprudenza ritiene che, ad esempio, le obbligazioni societarie cadano in comunione. Insomma, anche la giustizia di merito è passata da una visione di ricchezza familiare ancorata alla staticità immobiliare ad una permeata di nuove forme di investimento mobiliare.