Sugli studi di settore, l’ultima debacle del Fisco a favore dei contribuenti è datata 18 dicembre 2009, allorchè le Sezioni Unite della Cassazione (nn. 26635,26636,26637 e 26638/2009) hanno bocciato in maniera tranchant l’automatismo dell’accertamento fondato unicamente su tali – induttivi – strumenti.

In questi dicta, è chiaramente ribadito il concetto – già oramai proprio da molto tempo della Suprema Corte – secondo il quale gli studi, come i parametri, rappresentino solamente praesumptiones juris tantum, presunzioni semplici, che di necessità devono superare il vaglio del contraddittorio con il contribuente medesimo. Capita spesso, agli addetti ai lavori, di assistere purtroppo a sessioni presso le agenzie delle entrate ove i funzionari ritengono di completare il proprio procedimento affiancando alle risultanze degli studi di settore elementi aliunde reperiti, quali, ad esempio, il mero possesso di autovetture o di immobili. Ebbene, anche su questo dubbio iter i giudici supremi intervengono recisamente: la non congruità delle entrate dichiarate con quelle presunte deve risultare da ulteriori elementi riferiti all’attività di impresa o di lavoro autonomo.

La giurisprudenza di merito ha spesso rigettato in questi anni l’esegesi della P.A. in tema di procedimento di accertamento basato solo su strumenti induttivi. L’ultimo arresto segnalato è quello della Ctp di Enna (n. 208/02/09 del 3-10/1209).

In tema, è da segnalare che la Circolare n. 24/E del 15/5/2009 ha invitato gli uffici a valutare attentamente i rischi di procedimenti fondati esclusivamente sugli studi di settore (quid minimum di onestà intellettuale prima ancora che giuridica), al fine di evitare in primis una quasi sicura sconfitta in jure.