Gentile Avvocato Ciucio, con il regime dell’affido condiviso cambia qualcosa nell’assegnazione della casa coniugale? Grazie (Flavia, via mail)

Cara Flavia, hai “toccato” un punto particolare del nuovo sistema che regola la fase patologica di una unione coniugale. Dico “particolare” poichè, su questo tema, la normativa precedente al 2006 era molto più chiara come littera legis. Procediamo con ordine.

L’assegnazione della casa coniugale trova la propria enunciazione positiva nell’art. 155 quater c.c., introdotto dalla l. n. 56/2006. La laconicità della norma è palese allorchè essa si limita a recitare che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”. L’avverbio “prioritariamente” sconta un’imprecisione tecnico-giuridica nonchè logica di assoluto momento, poichè la precedente disposizione prevedeva – più precisamente – che “l’abitazione della casa coniugale spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”.

La differenza di calamo legislativo deriva dal fatto che nel sistema antecedente all’affidamento condiviso vigeva il cd. monogenitoriale, e cioè l’affidamento esclusivo della prole ad uno dei genitori (in percentuale schiacciante alla madre); ciò consentiva di identificare sic et simpliciter quale fosse il soggetto cui attribuire l’assegnazione della casa, considerata come prima e necessaria forma di protezione materiale e psicologica dei minori.

Attualmente, deficitando il genitore affidatario esclusivo, l’interprete deve adattare il provvedimento alle esigenze del caso concreto. Se i tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore sono equivalenti, non vi sarebbe motivo per procedere con l’assegnazione. Viceversa, qualora si disponga che il figlio viva stabilmente presso uno dei genitori (il cd. collocamento), quest’ultimo deve poter continuare ad abitare con il figlio nella casa familiare, che, per giurisprudenza consolidata, può pertanto essere assegnata solo quale forma di tutela dei figli minorenni/maggiorenni non ancora indipendenti economicamente, e non del consorte.

Senza figli, di conseguenza, la sorte della casa seguirà le norme generali sulla proprietà o sulla locazione: il coniuge non potrà vantare alcunchè su di essa quale manifestazione in natura di un eventuale mantenimento.

L’art. 155 quater c.c., anzi, riconosce il valore economico dell’assegnazione: il valore dell’assegnazione, cioè, deve essere considerato sotto il profilo sia del vantaggio economico per colui che la riceve, sia dello sforzo economico di chi la patisce.

La legge prevede infine la cessazione dell’assegnazione nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare ovvero conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. La disposizione è sembrata penalizzante per la prole, e di conseguenza presso i giudici sta prendendo forma l’indirizzo secondo il quale la nuova convivenza/il nuovo matrimonio del genitore affidatario non costituiscano ex se automatica cessazione dell’assegnazione medesima, bensì la semplice revisione del provvedimento sulla base di nuove circostanze (cfr. Cass. n. 9995/08).