Glossario:

danno emergente: è la perdita patìta dal danneggiato (in termini di deminutio patrimonii), e comprende: spese sostenute per cure mediche, spese per farmaci, spese assistenza infermieristica, spese per cure riabilitative, costi trasporto e soggiorno per affrontare le terapie, eventuali spese future secondo l’id quod plerumque accidit.

lucro cessante: mancato guadagno (mancato aumento del patrimonio), danno provocato alla capacità lavorativa della vittima, secondo la gravità della lesione, il reddito e l’età della vittima.

danno biologico: secondo l’art. 139 del Codice delle Assicurazioni private, è la lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di valutazione medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito. 

Viene suddiviso in due componenti, la prima (statica) è la diminuzione della capacità funzionale della persona, la seconda (dinamica) è identificata nelle conseguenze che la perdita dell’integrità psicofisica provoca nelle diverse attività (lavorative ed extralavorative) della vittima dell’illecito.

danno esistenziale: da taluni è stato definito come danno da “diminuita qualità della vita”, nato per riparare i danni identificabili nella necessità di adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti differenti rispetto al passato. Coincide quindi con le ripercussioni negative riferite alle diverse attività attraverso le quali la vittima realizzava la propria personalità prima dell’illecito

danno morale soggettivo: è il cd. pretium doloris, il patema d’animo, il dolore patito dalla vittima dell’illecito intermini di sofferenza psichica.

Date importanti:

1986: Il danno biologico riceve l’imprimatur della Corte Costituzionale.

12/5/2003: Con le tre sentenze 7281, 7282, 7283, la Cassazione afferma lo storico principio della risarcibilità del danno non patrimoniale anche nell’ipotesi in cui la responsabilità extracontrattuale sia stata ravvisata su una presunzione legale.

31/5/2003: Cone le sentenze 8827-8828/2003, la S.C. puntualizza che il danno non patrimoniale debba essere inteso come una maxicategoria, al cui interno trovino casa tutte le ipotesi in cui venga leso un valore inerente alla persona, non esaurendosi nel mero danno morale soggettivo. Allorchè l’illecito civile leda interessi della persona costituzionalmente garantiti non può dunque trovare applicazione il limite imposto dall’art. 2059 c.c.: ergo, il danno non patrimoniale può essere risarcito anche se il fatto illecito non integri reato.

16/7/2003: La Corte Costituzionale (n. 233/03), nel dichiarare l’inammissibilità della questione di legittimità dell’art. 2059 c.c., “salva” quest’ultimo riformulandone l’esegesi in una visione teleologicamente e costituzionalmente orientata. tale articolo deve essere interpretato nel senso che il danno non patrimoniale, in quanto riferito ad una astratta fattispecie di reato, è risarcibile anche nell’ipotesi in cui, in sede vicile, la colpa dell’autore del fatto risulti da una presunzione di legge.

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Con le sei sentenze dell’ “ottima annata” 2003 (cinque della Cassazione ed una della Corte Costituzionale) viene riscritto l’impianto del danno non patrimoniale. Soprattutto negli arresti del 31/5/03, l’ampio respiro della nuova manovra faceva parlare di sé: l’art. 2059 c.c. veniva riletto in una visione costituzionalmente adeguata, ove tutti i casi in cui l’illecito civile finisse per ledere interessi della persona costituzionalmente garantiti non trovasse applicazione il limite (vecchio) imposto dall’art. 2059: il danno, quindi, poteva essere risarcito anche se il fatto illecito non integrava gli estremi di un reato. Cogliendo al volo tale esegesi, la Corte Costituzionale aveva buon gioco nell’opera di salvataggio della norma de qua da tutte le eccezioni di incostituzionalità pendenti.

Proseguendo nella “nova lectio” dell’art. 2059 c.c., la Suprema Corte già vi inseriva diverse tipologie di danno, quali quello morale subiettivo, quello biologico ed ogni altro pregiudizio non suscettibile di valutazione patrimoniale. Ammoniva tuttavia ad un tempo l’interprete sul rischio dell’eccessiva proliferazione delle voci di danno risarcibile. Si dubitava già allora che, all’interno del genus del danno non patrimoniale, fosse utile “ritagliare specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo”.

Il sistema della responsabilità civile tornava quindi a basarsi su una corretta e “pulita” dicotomia tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale. In precedenza, l’antica impostazione tradizionale (che ha retto appunto sino al 2003) apriva al risarcimento del danno non patrimoniale solo allorchè l’illecito civile integrasse gli estremi di un reato, sulla scorta del richiamo all’art. 185 comma 2 c.p.: il danno non patrimoniale si esauriva – nella pratica – solamente nel mero danno morale subiettivo, nel cd. pretium doloris, il patema d’animo.

Tale sistema non era patentemente adeguato, in primis in relazione al ristoro di quei danni che impattavano contro i diritti della personalità (es. salute, reputazione, privacy). Insomma, il duplice pilastro “danno patrimoniale/danno morale” non riusciva più a reggere il peso di un diritto civile oramai troppo evoluto e diversificato. Nascevano quindi dalle aule universitarie e dai tribunali di merito più d’avanguardia le prime figure del danno alla vita di relazione, e, primo fra tutti, il danno biologico (sdoganato dalla famosa sentenza n. 184/1986 della Corte Costituzionale). 

Più recentemente, altra autorevole dottrina triestina enuclea il famoso “danno esistenziale”, sulla cui esistenza o meno è in atto un acceso dibattito sia tra i teorici che tra i pratici, con recente corollario giurisprudenziale a Sezioni Unite che parrebbe aver posto una pietra tombale sull’autonomia di tale voce risarcitoria.

Tale ultimo – fondamentale – arret, datato 11/11/2008, nn. 26972-26975, dice le seguenti cose:

  • il danno non patrimoniale è risarcibile solo nei casi previsti dalla legge:

          – quando la risarcibilità è prevista espressamente (es. art. 185 c.p.);

          – quando la risarcibilità, pur non essendo espressamente prevista da una norma di legge ad hoc, deve comunque ammettersi in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c;

  • Non è possibile nel nostro ordinamento concepire un danno “esistenziale”, inteso quale perdita del fare a-reddituale del soggetto. Tale perdita, se cagionata da un fatto illecito altrui lesivo di un diritto costituzionalmente garantito della persona, altro non è se non un mero danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.: non può essere liquidato separatamente soltanto perchè con diverso nomen juris. Non spetta alcun risarcimento, invece, allorchè il pregiudizio “esistenziale” è il corollario  di condotte che non appaiano lesive di specifici diritti della persona costituzionalmente garantiti. L’art. 2059 c.c., infatti, è norma di rinvio: non vi dovrebbero essere categorie o sotto-categorie, ma semplici casi specifici accomunati – semmai – a solo scopo descrittivo-sistematico in genus e species;
  • Le SS.UU. negano ingresso risarcitorio dei danni non patrimoniali “bagatellari”, cioè quelli futili ed emulatori; si pone l’accento sul frequente eccessivo spazio concesso (spesso dai Giudici di Pace) al danno esistenziale in relazione a casi non solo fantasiosi ma anche risibili (es. rottura tacco sposa, sbagliato taglio dei capelli, stress in aeroporto, disservizi in ministeri, invio cartelle pazze, morte animale domestico, mancato godimento di partita di calcio per blackout elettrico);
  • Anche in ambito di responsabilità contrattuale, l’inadempimento può portare ad un danno non patrimoniale;
  • il danno non patrimoniale va liquidato in toto, ma curando di evitare duplicazioni: in linea teorica, non sarebbe corretta la prassi di liquidare per una lesione sia il danno morale che quello biologico, poichè gli uni e gli altri costituirebbero pregiudizi dello stesso tipo;
  • Sulla prova del danno, essa può essere fornita anche per presunzioni semplici; resta tuttavia fermo l’onere della prova incombente sul danneggiato.

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Che le Sezioni Unite abbiano sconvolto il panorama risarcitorio, abolendo de facto le sottocategorie cui giudici ed avvocati erano oramai abituati da anni, è dir poco. Il de profundis sulla duplicazione (o triplicazione, a volte) dei danni biologico, morale ed esistenziale verso una unica fonte di liquidazione mette tutti gli operatori del diritto di fronte ad un dilemma: come calcolare d’ora in poi il risarcimento delle lesioni non patrimoniali?

A giudizio dei primi commentatori, gli Ermellini hanno detto due cose semplici:

  1. i danni bagatellari devono scomparire;
  2. in caso di lesioni ccdd. “micropermanenti” (quelle sino al 9% di invalidità), derivanti da sinistri stradali, a sparire sarà il danno morale, solitamente aggiunto in misura proporzionale a quello biologico, il quale ovviamente rimane.

I veri dubbi, di conseguenza, si concentreranno sugli altri due grandi tipologie di danno: quelli non legati ai sinistri stradali o, qualora da questi derivanti, con invalidità superiore ai nove punti percentuali.

In tali casi, o il giudice liquiderà solo il danno biologico secondo le tabelle dei vari tribunali, senza alcuna aggiunta di danno morale; oppure, se ritenesse compatibili le due voci, al posto di indicare due distinte cifre da sommare, ne stabilisca una complessiva. E’ anche possibile che vengano semplicemente stimati al rialzo i valori delle tabelle di liquidazione, ufficio per ufficio. Da parte di alcuni viene anche proposto un sistema flessibile che preveda una “forchetta” tra un minimo ed un massimo.

Per gli avvocati, le SSUU significano più fatica. Non più la comoda via automatica di un tempo, ogni voce di danno chiesta in iure richiede prove e documenti.

Dal punto di vita delle Compagnie assicuratrici, l’Ania sottolinea la situazione caotica che si sta creando nelle composizioni stragiudiziali dei contenziosi, dove l’unica cosa certa è che il vecchio sistema è più che claudicante.

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Il danno alla persona può anche cagionare un pregiudizio economico, che è danno patrimoniale risarcibile. Le questioni in campo appaiono qui tuttavia meno complicate rispetto a quelle trattate in ambito non patrimoniale.

A titolo di danno emergente, si può chiedere al responsabile dell’illecito il risarcimento delle spese sostenute per cure mediche, farmaci, infermieristiche e di cura.

Il lucro cd. cessante è rappresentato dalle conseguenze patrimoniali negative valutate assumendo come parametro di riferimento la capacità lavorativa della vittima. In questo caso, sono di ausilio i concetti di invalidità temporanea (totale e/o parziale) e di invalidità permanente (assoluta o parziale), calcolati secondo tre fattori: gravità della lesione, reddito ed età della vittima. Sul grado di invalidità, ogni stima è imprescindibile da una sorta di personalizzazione: non è chi non veda come la perdita di un dito sia la fine carrieristica di un musicista, laddove costituisca semplicemente una deminutio laboris per un professionista intellettuale.