Gentile Avv. Ciucio, volevo chiederle se posso avanzare il risarcimento del danno esistenziale dalla mia compagnia assicuratrice per un incidente dove sono rimasta offesa alla gamba destra. Non ho visto tale voce nella liquidazione del sinistro, e poichè ne sento spesso parlare, ho curiosità di saperne di più. Grazie (Federica, via mail)
Colgo l’occasione per una breve dissertazione sul genus del danno cosiddetto non patrimoniale nel sistema del diritto civile nostrano. Esso prevede al proprio interno tre distinte species:
- danno biologico, e cioè il danno all’integrità fisica, suscettibile di valutazione medico-legale;
- danno morale soggettivo, ovvero le sofferenze psichiche che il soggetto patisce, direzionalmente rivolte verso “l’interno” della persona (ad esempio, per la morte di un congiunto);
- danno cd. esistenziale, e cioè una particolare sofferenza, di rango costituzionale, direzionalmente rivolta verso “l’esterno” della persona, ad esempio per non potere più svolgere attività prima possibili ovvero per non potere più godere della stessa qualità di vita in precedenza vantata.
Il danno non patrimoniale comprende ogni vulnus inferto alla persona, al di fuori dei pregiudizi patrimoniali e della capacità di produrre reddito da parte del soggetto. Tale super-categoria è stata profondamente rivisitata da una celebre giurisprudenza del 2003 (sia della Corte di Cassazione che della Corte Costituzionale), la quale ha fatto storia nel nostro ordinamento civilistico in quanto ha sopperito all’anacronismo del codice civile (ricordiamolo, risalente al 1942) in materia di responsabilità civile ex art. 2043 ss. Tali arresti nomofilattici hanno di fatto salvato l’art. 2059 c.c. da un profondo baratro (quello dell’incostituzionalità) verso il quale esso stava lentamente – ma inesorabilmante – declinando.
Prima del 2003, difatti, l’art. 2059 (Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge) “entrava in funzione” praticamente soltanto allorchè legato ad un illecito che costituisse reato (illecito di natura dunque penale), stante il richiamo sostanziale all’art. 185 comma secondo c.p. (Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole). Tale angusto perimetro tuttavia non poteva più resistere sotto i colpi delle nuove voci di danno che la dottrina in primis e la giurisprudenza quindi andavano man mano enucleando in maniera sempre più raffinata. Si riscopre l’esegesi del termine “legge” dell’art. 2059 non più e non solo in relazione all’art. 185 c.p., bensì anche e soprattutto rispetto ad alcuni articoli della nostra Carta Fondamentale (in primis, gli artt. 2 e 32 Cost.).
Assieme all’operazione – anch’essa di enorme momento – di totale svincolo del danno biologico dalla mera capacità di produrre reddito (che portava spesso a risultati aberranti, tali da non garantire alcun ristoro, ad esempio, a chi non avesse stabile lavoro), quella appena citata è forse il puntello esegetico pratico di più alto impatto negli ultimi anni.
Corollario di tutto questo rescriptum juris è la nuova “sistemazione” della responsabilità civile extracontrattuale, che prende nuova e più chiara forma dicotomica: il danno patrimoniale viene “incasellato” nell’art. 2043 c.c., il danno non patrimoniale (tutto) nell’art. 2059 c.c.
A sua volta si è visto come tale ultima macro-categoria veda al suo interno le tre sotto-categorie del danno biologico (temporaneo e permanente), morale ed esistenziale.
Il danno cd. morale – insieme delle sofferenze psichiche arrecate ad un soggetto – è concettualmente distinto da quello biologico, che sorge quando si è in presenza di una lesione all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di valutazione medico-legale e – come già detto – slegata dalla capacità di produzione di reddito. Rientrano in tale species anche le figure di danno estetico, d’immagine, alla vita di relazione, alla sfera sessuale nonchè la riduzione della capacità lavorativa generica. Il danno morale viene generalmente liquidato nella misura della metà del danno biologico, che prevede un sistema tabellare a punti percentuali parametrati all’età anagrafica dell’infortunato. E’ tuttavia da osservare come il danno morale sia completamente autonomo dal biologico: è sufficente la sussistenza di un fatto illecito che provochi causalmente nella sfera morale della vittima patimenti e sofferenze valutabili equitativamente (non essendo vere e proprie malattie mediche) da parte del giudice.
Il danno cd. esistenziale (figlio di autorevole dottrina triestina), pur recentemente sconfessato nella propria configurabilità come figura autonoma (cfr., http://blog.studiolegaleciucio.it/2008/11/14/il-primum-vivere-del-danno-esistenziale/), conduce a risarcimenti qualora i pregiudizi siano eziologicamente conseguenti alla vulnerazione di un diritto inviolabile alla persona, come tale dotato di copertuta costituzionale (vengono così arginati i casi-limite di singolari richieste di indennizzo quali la depressione della sposa per il tacco rotto ovvero lo stress da intasamento pubblicitario delle cassette condominiali). Tale voce di danno, tuttavia, non opera automaticamente; ne deve essere fornita adeguata prova in giudizio (anche mediante testimoni), e viene liquidata equitativamente dal giudice.