La bocciatuta costituzionale della cd. legge Galli sulla tariffa da depurazione delle acque reflue nei casi in cui il depuratore stesso manchi ovvero risulti inefficiente o insufficiente sta creando forti allarmi nei Comuni in merito ai possibili effetti negativi di richieste di rimborso.

 

Secondo fonti attndibili, infatti, il 35% degli utenti non sono collegati ad un depuratore, con la logica conseguenza che una bolletta su tre non è regolare. Secondo le stesse fonti, il rimborso medio si attesterebbe sui 1500 Euro pro capite.

 

A dare inizio a tale fenomeno è stata la sentenza n. 335/2008 della Corte Costituzionale, che ha espunto in un sol colpo la legge n. 36/94 ed il d.Lgs. n. 152/06 dall’ordinamento; tali norme precedevano che, anche in caso in cui mancassero impianti di depurazione o questi fossero – anche temporaneamente – inattivi, il contribuente dovesse comunque pagarne la tariffa. L’arresto della Corte ha valore retroattivo (ex tunc, amano dire i giuristi), come affermato anche dal parere n. 24/08 della sezione di controllo per la Campania della Corte dei Conti.

 

Pertanto, dal 16 ottobre 2008 (giorno successivo alla pubblicazione della famosa sentenza), non soltanto le quote di depurazione e fognatura non possono più essere richieste in caso di servizio inesistente/non funzionante, ma vanno anche rimborsati i periodi pregressi, col limite decennale previsto dal codice civile in materia di obbligazioni contrattuali, ergo sino al 1998.