Il contratto preliminare (volgarmente, il “compromesso”) è un negozio giuridico ad efficacia obbligatoria. Ciò significa che non trasferisce ex se un diritto reale come la compravendita, bensì obbliga le parti a prestare entro un certo termine il proprio consenso alla conclusione del contratto definitivo. Da quest’ultimo deriverà il vero e proprio effetto traslativo della cosa oggetto dell’accordo.

Quando il preliminare ha per oggetto la vendita di un bene immobiliare con contestuale versamento di denaro a titolo di caparra cd. confirmatoria e non è seguito nei termini prefissati dalla stipula del rogito notarile, la parte adempiente può agire in giudizio per chiedere (alternativamente):

– la risoluzione del contratto per inadempimento (ex art. 1453 c.c.);

– l’esecuzione forzata del contratto ex art. 2932 c.c. (con sentenza che produrrà gli effetti del contratto mai concluso);

– recedere ex art. 1385 c.c. se è stata versata la caparra. L’art. appena citato, infatti, prevede che se al momento della conclusione del contratto una parte dà all’altra, a titolo di caparra, una somma di denaro, la caparra – in caso di adempimento – deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto ritenendo la caparra; qualora sia invece inadempiente la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere ed esigere il doppio della caparra. Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento è regolato dalle norme  generali.

La caparra confirmatoria ha una funzione non univoca: si potrebbe dire che essa vuole garantire l’esecuzione del negozio giuridico, poiché è introitata in caso di inadempimento dell’altra parte; ha anche tuttavia una funzione di autotutela, poiché consente di recedere dal contratto senza adire il giudice; funge altresì da da preventiva forfettizzazione del danno da recesso al quale la parte è stata costretta dall’inadempimento dell’altra.

Giungiamo adesso ad esaminare un punto delicato, e cioè l’essenzialità del termine indicato nel compromesso-preliminare. La giurisprudenza è solita ricordarci che il termine per la stipulazione del contratto definitivo non sia ex se essenziale, bensì lo divenga solamente per volontà dei contraenti oppure per la natura e l’oggetto del contratto, quando l’utilità economica avuta presente dalle parti possa essere perduta per effetto dell’inutile decorso di quel termine (cfr. Cass. n. 3645/2007).

Questo significa che la formula di stile presente spesso nei compromessi, e cioè che il rogito debba avvenire entro e non oltre una certa data, non è sufficiente da sola a qualificare come essenziale l’ottemperanza al termine medesimo. I motivi dell’essenzialità devono essere manifestati, pena la non risoluzione del negozio per il sol fatto di non aver rispettato la data per la stipulazione del definitivo. Nel caso – peraltro non infrequente – in cui una parte non si presenti alla data convenuta nel preliminare, l’altra parte deve procedere a convocazione (con raccomandata a.r.) presso lo studio notarile in data successiva. In caso di nuova mancata comparizione, ben si profila un inadempimento contrattuale che legittima l’applicazione dell’art. 1385 c.c. sopra menzionato.